martedì 5 giugno 2012

venerdì 18 maggio 2012

E' TEMPO CHE SIA TEMPO...E' TEMPO


PAUL CELAN


CORONA


L'autunno mi bruca dalla mano la sua foglia: siamo amici.
Noi sgusciamo il tempo dalle noci e gli apprendiamo a
camminare:
lui ritorna nel guscio.
Nello specchio è domenica,
nel sogno si dorme,
la bocca fa profezia.

Il mio occhio scende al sesso dell'amata:
noi ci guardiamo,
noi ci diciamo cose oscure,
noi ci amiamo come papavero e memoria,
noi dormiamo come vino nelle conchiglie,
come il mare nel raggio sanguigno della luna.

Noi stiamo allacciati alla finestra, dalla strada ci
guardano:
è tempo che si sappia!
È tempo che la pietra accetti di fiorire,
che l'affanno abbia un cuore che batte.
È tempo che sia tempo.
È tempo.

"VIE DI DIALOGO" Ketty Tagliatti e Graziano Spinosi Palazzo Dell'Arengo Rimini a cura di Claudia Collina e Massimo Pulini

L'Inaugurazione Palazzo Dell'Arengo Rimini il 23 Giugno 2012 ore 18

SUR-NATURALE

Arazzo realizzato con la tecnica a spilli di cm. 240x290 Tecnica: acquarello, ricamo, spilli d’acciaio.

PERCE/VER/AZIONE

Sostare nella percezione del vero e scoprire di essere già oltre, nel suo traslato, nella proiezione di ciò che si vede e che si tocca, nell’immagine che si forma nella mente, che non è mai quella retinica ma quella che ci appartiene, ci assomiglia, che affiora nella memoria, come ciò che resiste. Distacco, isolamento percettivo, frattura o modificazione…mutamento sensoriale, determinato dalle innumerevoli protesi tecnologiche che alterano il sentire e condizionano il fare. Vivere nella normativa il disagio del fuori gioco, dove la tecnica diventa linguaggio, espressione emotiva del corpo, rituale segnico che scandisce i tempi del prendersi cura, in maniera quasi religiosa, delle finalità del pensiero. Il fare, come unico strumento di comunicazione con il reale, unico vero soggetto, rito catartico e custode dell’esecuzione dell’opera.
Titolo: SUB-ROSASUB- Dimensioni: due teli cm. 260 x 200 Tecnica: garza e spilli d'acciaio su tela

domenica 12 dicembre 2010

lunedì 1 novembre 2010

ENSIMISMAMIENTO ovvero l’arte d’inabissarsi in sé



Chiara Gatti

Povero Ortega y Gasset. Il celebre filosofo madrileno (1883-1955) credeva, quando redasse il suo saggio Ensimismamiento y alteración, di aver utilizzato un termine così specifico da risultare intraducibile, tanto da poterne reclamare sempre la paternità. Ensimismamiento, vocabolo bellissimo della favella spagnola, che rotola sulla lingua come una tentazione, doveva rappresentare infatti nelle sue intenzioni la parola perfetta per alludere a quel dialogo intimo che la persona ingaggia con se stessa, esattamente come recita la definizione da vocabolario: «abstracción del mundo exterior, concentrándose en los propios pensamientos». Affascinante.
Peccato che Ortega non avesse fatto i conti con il “sommo poeta”. Dante, con qualche secolo d’anticipo, fra le pagine della Commedia, nel nono canto del Paradiso, in uno scambio di battute con Folco da Marsiglia, si ritrovò (guarda caso) a dire: «già non attendere’ io tua dimanda, 
s’io m’intuassi, come tu t’inmii». Il padre della lingua italiana fu inventore insomma, a suo tempo, di un neologismo pronominale utile proprio a indicare una forte immedesimazione nell’altro, ma soprattutto a comunicare un senso di inabissamento nei meandri della coscienza. Un “ensimismamiento” in salsa stilnovista – potremmo dire – utilissimo per andare a pescare nel profondo della personalità… dei nostri simili, ma soprattutto della propria.
Ne sa qualcosa Ketty Tagliatti che, scegliendo la rosa come simbolo di questa meditazione, ha reso un’iconografia vecchia come il mondo pretesto per una ricerca sul “dentro”, sul dialogo con se stessi, sulla necessità (godiamo di un altro neologismo) di “instessarsi”, immaginando i gorghi dell’interiorità come fossero i meandri, le anse, le sinuosità e i dedali che s’attorcigliano fra i petali carnosi di un fiore. In questo modo Ketty scalza le metafore tradizionali legate al senso della rosa, non cade nella trappola della citazione o dell’emblema caro all’immaginario comune, per proiettarne invece la forma in un’altra dimensione. Un po’ come aveva fatto Giorgio Morandi con le sue bottiglie, affidando loro le sue ansie di equilibrio. Ma, forse, di più ancora, Gianfranco Ferroni con i suoi oggetti polverosi su tavolini fragili, «alibi – diceva – per indagare e valorizzare lo spazio e la luce». Allegoria di un luogo privato, «la polvere – continuava – è importante quanto un universo, perché nel micro c’è il macro, nell’impercettibilmente piccolo c’è il grandissimo».
E nel cuore della rosa c’è, di fatto, tutto un mondo per Ketty Tagliatti. Ci sono segreti, sentimenti, inquietudini, nodi da sciogliere e cose non dette; pensieri così tortuosi da rischiare di inghiottire chi s’avvicina troppo, meraviglia carnivora dentro cui entrare di testa, come nella quarta dimensione (Fontana avrebbe apprezzato) dell’anamorfosi costruita sapientemente a quattro mani con Elisa Leonini e sbocciata in galleria, gigantesca corolla che sembra aprirsi e chiudersi come un sipario intermittente, con un ingresso preciso dietro il quale sparire.
E torna in mente ancora Ortega quando affermava: «faccio sentire al lettore quanto mi interessa che lui sia presente. È come se lui percepisse una mano ectoplasmatica che, emergendo fra le righe, palpa la sua persona, la accarezza, oppure le sferra un pugno. Così entra in dialogo col libro».
Anche le rose di Ketty ci palpano per bene. Come la mano del fantasma di Catherine che, in Cime Tempestose, afferrava dalla finestra il braccio del viandante spaurito. O come lo scrittore curioso di Calvino che, in Se una notte d’inverno un viaggiatore, guardava con il binocolo la sua lettrice intenta a leggere le pagine del libro che lui avrebbe a sua volta scritto per lei. Il racconto di Ketty è allo stesso modo un gioco di scatole cinesi che si schiudono le une sulle altre proprio come petali di un fiore che ti accarezza, ti avviluppa, ma poi – all’improvviso – ti punge con le sue spine aguzze quanto spilli, ti strazia, ti fa male dentro, castigandoti per aver scavato (ensimismado!) troppo a fondo nei tuguri dell’anima, oltre la cortina semitrasparente, il velo, il separè che divide l’apparenza dalla sostanza delle cose, la pelle dal cuore.
Sporgersi troppo verso il nocciolo della rosa, si sa, è una brama, una lusinga cui è difficile resistere, se non altro per il piacere di sentirne il profumo, di strizzare gli occhi nel suo bulbo e mettere a fuoco quel ricamo certosino che, lento come una nenia, al ritmo di una litania, cuce foglie su foglie, aculei e pistilli. Ma intesse anche altri sipari, tendine tese su diorami dell’anima, valige del buon ricordo, gli ultimi teatrini di Ketty che, come i libri di Ortega esigono una partecipazione del lettore, lo invogliano a sbirciare dentro cosa si nasconde: ninnoli, conchiglie, piume, altri petali e altre spine, souvenir di un viaggio intimo dove perdersi a caccia di ricordi, per cominciare a “instessarsi” come lei “s’inleia”.

Mostra personale "Ensimismamiento" Galleria Il Chiostro Saronno

mercoledì 10 marzo 2010

Anamorfosi di una rosa del mio giardino

Anamorfosi - (parola comparsa nel XVII secolo, dal greco ana/morphe “oltre la forma” – tecnica prospettica in cui ciò che si vede non è ciò che sembra.
Essa si basa sul principio dell’inganno dell’occhio e si sviluppa in una “doppia prospettiva”, ossia la medesima immagine viene costruita due volte, la prima proiezione è su un piano perpendicolare al raggio visivo, mentre la seconda è su un piano obliquo rispetto il precedente. Di conseguenza l’immagine “corretta” non è vista ponendosi frontalmente all’opera, ma osservandola di scorcio in modo che l’occhio sia radente al piano.
Se la prospettiva mostra l’uomo, nell’atto del suo collocarsi, al centro del mondo e lo pone come “punto di vista”, l’Anamorfosi produce la “perdita del centro”, ovvero un decentramento dell’essere umano dal luogo da cui si dominano natura e vita.

La visione dell’installazione anamorfica implica un movimento nel tempo e nello spazio durante il quale lo spettatore rimane con lo sguardo sospeso, in bilico tra la formazione e la dissoluzione dell’immagine.
E’ su queste tematiche della percezione del reale e delle illusioni prospettiche, che si concentra la poetica della giovane artista ferrarese Elisa Leonini e proprio attraverso l’Anamorfosi questa artista, collaborando con Ketty Tagliatti, s’innesta nell’ultima fase della realizzazione dell’installazione “Anamorfosi di una rosa del mio giardino 2008-2010” donandole con questa deformazione un potenziamento della percezione visiva attraverso la sorpresa e il mistero dell’apparizione della rosa.




lunedì 8 febbraio 2010

-------------------E... LA MORTE



Crescere... non è altro che imparare a convivere con la morte.
Conoscerla... riconoscerla ogni volta che si manifesta clamorosamente accanto a noi, attraverso la vita e la morte degli altri, degli amici, parenti, conoscenti.
Quel suo sguardo... si è impresso nella mia anima e ora purtroppo lo rivedo sempre più spesso... ovunque, in chiunque mi passi vicino e mi guardi in quel modo inconfondibile.
La morte ci abita e ogni giorno ci fa morire un pochino, si impossessa lentamente del nostro corpo e della nostra mente in maniera subdola: ci fa impazzire mettendoci in conflitto con la nostra voglia di vivere, ci paralizza gli slanci vitali, ci consuma sino all’esaurimento, riducendoci ad un torsolo avvizzito e poi?... ci spegne la vita.
Senza ripensamenti mette in atto una strategia predatoria che conduce all’annientamento finale, alla conquista del nulla, all’ordine e alla pulizia territoriale.
Ogni giorno, guardandoci allo specchio, ci sorride e si rivela discretamente, amichevolmente si rende sempre più famigliare e assume la difesa delle nostre fragilità, dei nostri ardori...rimane nascosta dietro ai nostri traguardi, come il fine ultimo di ogni nostra aspirazione,come il "telos" della nostra sopravvivenza.


COME FARO’ SENZA MIO PADRE
?

ostagio n°2 2008

ostagio n°2            2008
dimensioni cm.250x240x29 tecnica : pittura su stoffa, imbottitura di cotone e trapuntatura da materasso

Informazioni personali

La mia foto
Ferrara, Fe, Italy
vivo e lavoro in provincia di Ferrara come artista (per tutta una serie di motivi...)